La respirazione corretta non è una sola. E poi “corretta” spesso non è nemmeno il termine giusto.
Quando si parla di respirazione corretta spesso si cerca uno schema e si estende a modello unico. Si dice che è la respirazione giusta e che naturalmente dovremmo respirare così. C’è chi dice che è quella diaframmatica, chi quella circolare, chi quella quadrata e molto altro. Poi segue l’indicazione di esercitarsi in modo che diventi automatica.
Un po’ come definire la postura corretta ed esercitarsi a “stare su dritti” per migliorarla. Ed esattamente come in questo caso il risultato è che NON funziona.
Prima distinguiamo: respirazione volontaria o spontanea?
Da un punto di vista anatomico e fisiologico, l’apparato respiratorio è unico. È l’unico sistema nel corpo che è sotto controllo volontario, oltre che automatico. Abbiamo quindi una respirazione spontanea e una volontaria. E anche se sempre di respirazione parliamo, non sono proprio la stessa cosa.
La possibilità di modificare la respirazione intenzionalmente fa nascere in molte persone l’idea di poter controllare o di potersi esercitare e modificare anche quella spontanea.
- Fino a quando si parla di tecniche per rilassarsi o di percezione sono sicuramente utili in molti casi, ad esempio per “tornare con i piedi per terra” durante momenti di agitazione. La psicologia usa queste strategie di controllo volontario della respirazione per vari motivi e spesso con buoni risultati.
- Anche durante l’esecuzione di determinati esercizi fisici può esserci una tecnica respiratoria precisa consigliata per la sicurezza o per riuscire meglio nel movimento. Basti pensare alla pesistica, al pilates, allo yoga o alle arti marziali.
In questi casi, dato che ci riferiamo a tecniche specifiche che cercano precisi effetti possiamo sicuramente parlare di respirazione (volontaria) corretta.
Il rischio dietro l’angolo
Se però si inizia a dare a queste tecniche valore universale e si dice “questa è la respirazione corretta e dovremmo respirare sempre così” ecco che inizia qualcosa che NON è destinato a finire bene. Purtroppo è successo in molti casi. Sono state estrapolate e semplificate tecniche, sono state decontestualizzate e poi promosse come dogmi nel mondo del benessere.
Nella migliore delle ipotesi, chi si approccia con questa modalità fa dei tentativi e dopo un po’ abbandona.
Ad alcuni però succede di precipitare in un eccesso di coscienza, cioè si focalizza continuamente sul modo di respirare con l’intento di controllarlo. Ecco che qui c’è il serio rischio che non ne esca niente di buono. Purtroppo in alcuni casi diventa una vera ossessione.
Qualcuno può pensare che esercitandosi si possa imparare a respirare. E in parte è vero. Se ci si esercita con qualche tecnica di respirazione volontaria si impara, appunto, la respirazione volontaria. Ma la respirazione spontanea tendenzialmente continua ad andare per conto suo.
Purtroppo alcuni sono convinti di potercela fare e probabilmente parte della convinzione è dovuta al fatto che, nel momento in cui verificano il loro modo di respirare, avviano proprio la respirazione volontaria. Osservano che corrisponde (più o meno) alla tecnica imparata e l’autoinganno è avvenuto. Poi ovviamente, ad un certo punto, distolgono l’attenzione, riparte una respirazione spontanea diversa, ma non se ne accorgono proprio perché hanno distolto l’attenzione.
Merita invece un discorso a parte il metodo Buteyko. Questo infatti non è paragonabile a ciò a cui faccio riferimento. Non è una estrapolazione semplificata di una tecnica respiratoria che è stata snaturata in ottica marketing. E’ un metodo, cioè un complesso organizzato di esercizi e indicazioni , che effettivamente può avere un impatto anche sulla respirazione spontanea.
Quando allora parliamo di respirazione corretta a quale delle due ci riferiamo?
Quando invece possiamo parlare di respirazione spontanea corretta?
Fino ad ora ci siamo concentrati sulla respirazione volontaria. Abbiamo detto che essa è davvero influenzabile e addestrabile. Cambiandola possiamo modificare i nostri stati di coscienza e la qualità del nostro movimento. Semplificando possiamo dire che la respirazione spontanea funziona al contrario. E’ lei che viene modificata dalle nostre abitudini, dall’umore, dal movimento, dall’ambiente in generale. Cambia se siamo malati, se sentiamo dolore, se siamo tristi o felici, se siamo rilassati o agitati, se stiamo seduti o distesi, se abbiamo mangiato tanto, se siamo in montagna ecc.
Oltre a reagire alle circostanze presenti, in quel momento si modella anche sulla base di stimoli prolungati. Ad esempio si adatta nel tempo in base a come siamo stati allattati, a come sono le nostre abitudini posturali, a quanto siamo stressati, a eventuali dolori cronici e molto altro.
Quando si sente parlare di respirazione corretta di solito è in riferimento ad una condizione di riposo e di relativa tranquillità. Condizione rara di questi tempi.
Relegare il concetto di respirazione corretta ad una sola modalità giusta e universale significa:
- non tenere conto della variabilità della vita;
- indurre a pensare che quando reagiamo alle circostanze la respirazione diventa non corretta, cioè sbagliata.
Invece, uno dei compiti importantissimi del nostro sistema, compreso quello respiratorio, è reagire alle situazioni e metterci nella condizione di andare avanti al meglio. Ad esempio, se sono in un periodo particolarmente stressante e questo mi pesa, ovviamente la respirazione reagirà e risulterà alterata rispetto a quando sono rilassato. Basandoci sul comune concetto di respirazione corretta dovremmo dire che in questo caso la respirazione è errata. Errata? Una reazione fisiologica errata?
Ecco perché penso che sia proprio fuorviante il concetto. Al limite potremmo dire che una respirazione “corretta” è quella che risponde bene agli stimoli.
Oltre il concetto di respirazione corretta
Una modalità di respiro, anche se disagevole, è un adattamento, un tentativo di rimedio, o l’unica via che l’organismo ha trovato per reagire e per cercare di ristabilire una qualche sorta di equilibrio.
E in fondo ci accorgiamo di questo. Quando la respirazione non è più tranquilla può dare fastidio o essere un peso, ma in fondo spesso si sente che è coerente a come ci sentiamo in generale.
Un po’ come la postura. Quando sono “giù” di morale sto più curvo e non ho proprio voglia di stare dritto. Se mi sforzassi di stare dritto starei peggio, sentirei che non è coerente, che “non è giusto”.
Quindi…
Chi siamo noi per dire che in quel preciso momento quel modo di respirare sia giusto o sbagliato?
E anche se con quella modalità c’è un prezzo da pagare, come sappiamo che senza quella reazione non sarebbe stato anche peggio?
Ci sono situazioni in cui gli adattamenti sono tali da determinare modelli respiratori molto strani. In questi casi c’è sicuramente un prezzo da pagare. Ma il fatto che ci sia un prezzo da pagare non significa che la respirazione sia sbagliata. Diciamo che è più un compromesso.
Ma quindi non c’è niente da fare?
Per fortuna si può fare qualcosa anche in questi casi per rendere la respirazione più funzionale e ridurre il prezzo da pagare.
Se non riesci a non pensare alla respirazione corretta
Se proprio si volesse ragionare in termini di corretto o non corretto ti propongo uno spunto di riflessione. Rispondi alle seguenti domande.
- Qual è la respirazione corretta quando sono rilassato? Perché penso che sia così? Quando è diversa perché è diversa? Sbaglio o reagisco?
- Qual è la respirazione corretta quando sono agitato?
- Quando dormo?
- Quando sono arrabbiato?
- Quando faccio uno sforzo?
- Quando …
Cosa ne pensi?
Se vuoi condividere una riflessione o hai delle curiosità contattaci a info@laboratoriodelrespiro.it.
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Bibliografia
R. Greger U. Windhorst (Eds.) Comprehensive Human Physiology: From Cellular Mechanisms to Integration, Vol. 1 Springer 1996
Paul M. Lehrer, Robert L. Woolfolk. Principles and Practice of Stress Management, Third Edition. The Guilford Press 2007
Beverly H. Timmons, Ronald Ley. Behavioral and Psychological Approaches to Breathing Disorders. Springer Science + Business Media New York 1994