Viviamo in un momento in cui la proliferazione di corsi è al suo massimo. Corsi per imparare qualsiasi cosa, corsi per formare operatori, corsi per formare formatori.
In questo contesto si sono ricavate un loro spazio le tecniche respiratorie. Da quelle, ad esempio, orientali antichissime a quelle più recenti. Come in ogni cosa la qualità delle tecniche e degli operatori è variabile, ma in questo momento l’intento non è quello di giudicarne le caratteristiche.
Si vuole piuttosto proporre una riflessione sui motivi che spingono ad utilizzarle e, in base a questo, decidere se sono utili.
Gli esercizi respiratori servono?
Ovviamente, come in tutto, dipende qual è l’obiettivo.
Ci sono molte situazioni in cui praticare esercizi respiratori si può rivelare molto utile. Ad esempio per indurre uno stato di rilassamento, per forzare valori fisiologici prima di un’immersione in apnea, per la preparazione al parto o se per patologie particolari e stati di debilitazione della muscolatura respiratoria.
Se invece l’idea è di utilizzare gli esercizi per imparare a respirare allora la questione è diversa.
Prima di tutto ti invito a riflettere su una cosa.
Siamo sicuri che ci serva imparare a respirare?
Se così fosse dovrebbe essere insegnato durante la gestazione. E invece nasciamo che lo sappiamo già fare.
E poi, è possibile che nasciamo con un movimento respiratorio imperfetto?
Il movimento innato
La maggior parte delle persone, quando nasce, dispone di un respiro pressoché perfetto e pronto all’uso. Infatti è una delle prime cose che facciamo da soli.
Poi può essere che qualcosa cambi. La vita, già dai primi momenti, ci pone di fronte ad una serie di situazioni (stress, emozioni, relazioni, abitudini, stile di vita, fattori ambientali, malattie, ecc.) alle quali cerchiamo di reagire con gli strumenti psicofisici che abbiamo a disposizione. A questo punto mettiamo in atto strategie che, in alcuni casi, possono avere un prezzo da pagare.
Il respiro è una di quelle funzione fisiologiche che si alterano facilmente in caso di necessità modificando il nostro stato di attivazione neuromuscolare e il nostro stato interiore.
Le funzioni vitali umane, come quelle di ogni altro essere vivente, si sono biologicamente strutturate nel corso dell’evoluzione in un ambiente preciso e in parte differente da quello attuale. Ad esempio, in una situazione di pericolo, il nostro sistema nervoso attiva una reazione e lo fa modificando anche i valori cardio-respiratori per sostenere lo sforzo. Una volta esaurita la necessità si torna ad uno stato di quiete o, almeno, è quello che dovrebbe succedere.
Cosa succede al nostro respiro
Purtroppo nella situazione contemporanea, che se ne sia consapevoli o no, i livelli di stress sono persistenti, e spesso nascosti dietro un’idea di normalità. Generalizzando e semplificando potremmo dire che siamo “lievemente” e costantemente attivati come in uno stato di pericolo e, per di più, dobbiamo fare fronte a questa condizione con un sistema psicofisico debilitato da stili di vita malsani.
L’ansia (anticipatrice) aumenta la frequenza respiratoria e questa modifica non è legata alle variazioni del consumo di ossigeno, cioè alle variazioni della domanda metabolica (Masaoka & Homma, 2001). In letteratura è stato coniato il termine “behavioural breathing” per rappresentare le modalità respiratorie alterate dal sistema limbico, per distinguerle dal “metabolic breathing” ovvero il respiro che assolve alle normali richieste metaboliche del nostro organismo. Il primo tipicamente predomina il secondo.
Le persone che soffrono di inquietudine e ansia generalmente hanno un respiro accelerato e sono costantemente alla ricerca di aria. Nei casi più gravi si verificano crisi di panico, situazioni molto simili nella descrizione ai sintomi alle crisi asmatiche.
Nel momento in cui determinate abitudini o situazioni perdurano, esiste il rischio che si possa innescare un circolo vizioso di peggioramento continuo in cui è sempre più difficile distinguere le cause dalle conseguenze.
Pensiamo, ad esempio, a come un respiro accelerato e superficiale, che porta a senso di fatica sempre maggiore, può indurre un evitamento del movimento, il quale a sua volta peggiora ulteriormente la condizione fisica e il senso di fatica percepito.
Si può imparare a respirare “bene” con gli esercizi?
A nostro parere non è possibile addestrare il respiro attraverso la pratica di esercizi respiratori. Questo perché:
- raramente il movimento di queste tecniche corrisponde al movimento respiratorio naturale;
- pensare costantemente a come respirare e se si sta respirando bene è uno stress che si aggiunge e impatta negativamente sulla qualità respiratoria;
- non appena il pensiero si distoglie ritornano ad agire i meccanismi descritti sopra e il respiro si modifica.
In alcuni casi è utile utilizzare alcuni esercizi respiratori all’interno di un processo che miri all’esplorazione del respiro in modo da innescare delle autocorrezioni.
In altri casi possono servire per distendere i tessuti o rinforzare alcuni muscoli, tenendo sempre presente però che, se non si modifica la condizione alla base, la tendenza sarà quella di regredire velocemente.
È importante allora iniziare a vedere la qualità respiratoria anche come la conseguenza di una buona qualità della vita (condizione di salute psico-fisica-emotiva). Questa strategia permette di innescare un circolo virtuoso in cui “se sto bene, respiro bene e se respiro bene mi sento bene”.
Bibliografia
Ikuo Homma and Yuri Masaoka. Breathing rhythms and emotions. Experimental Physiology. 2008
Ikuo Homma and Yuri Masaoka. Expiratory time determined by individual anxiety levels in humans. J Appl Physiol. 1985
Masaoka Y., Kanamaru A., Homma I. Anxiety and Respiration. In: Respiration and Emotion. Springer, 2001
Evans. Cortico-limbic circuitry and the airways: Insights from functional neuroimaging of respiratory afferents and efferents. Biol Psychology. 2010
Van Lieshout, G. MacQueen Psychological Factors in Asthma. 2008;
Von Leupoldt et al. The impact of emotion on respiratory-related evoked potentials. Psychophysiology. 2010